Biografia

Ugo Cerasoli

Quando, bambino di pochi anni, cade nelle acque del fiume Tirino, e viene trascinato via dalla corrente, ai contadini che lo traggono in salvo sulle rive più a valle dirà:

Vedevo la mia immagine riflessa sull’acqua e volevo prenderla, ma non ci riuscivo!

Forse è il primo segno di un insaziabile istinto a riprodurre la realtà, riportarla in immagini, disegnarla, dipingerla. Realtà dapprima soltanto oggettiva, ma che pian piano diverrà espressione del suo mondo interiore meditato e sofferto.

Biografia

Ugo Cerasoli

Quando, bambino di pochi anni, cade nelle acque del fiume Tirino, e viene trascinato via dalla corrente, ai contadini che lo traggono in salvo sulle rive più a valle dirà:

Vedevo la mia immagine riflessa sull’acqua e volevo prenderla, ma non ci riuscivo!

Forse è il primo segno di un insaziabile istinto a riprodurre la realtà, riportarla in immagini, disegnarla, dipingerla. Realtà dapprima soltanto oggettiva, ma che pian piano diverrà espressione del suo mondo interiore meditato e sofferto.

Ugo Cerasoli nasce il 18 settembre 1928 a Bussi sul Tirino in provincia di Pescara. La famiglia, le cui condizioni economiche più che modeste sono condivise dal resto del paese, lo accoglie ultimo di quattro figli. Padre e madre, già in età avanzata lo lasciano presto in un ambiente dove non si può privilegiare che l’essenziale e dove la vita scorre secondo i ritmi arcaici delle economie rurali.

In tale contesto, la cultura, quella intesa come risultante di stimoli, relazioni, confronto e soprattutto fonti, non rientra nel quotidiano. Quando trapela rappresenta un momento marginale, episodico, remoto. La stessa educazione scolastica è frammentata negli anni del conflitto mondiale. L’avido interesse per lo studio lo spinge a riprendere i corsi nel dopoguerra e a completare in breve gli studi magistrali. La necessità di un impiego prevale però sul proseguimento degli studi, pur caldeggiato dai docenti che ne avevano ravvisato le vivaci capacità intellettuali. E’ difficile risalire a un esordio dell’attività artistica.

Da ragazzo si fa apprezzare per l’acuto spirito di osservazione e il vivo senso della scena e del colore. Scoperta la pittura, in seguito non la tradirà mai. L’unico limite nell’assecondare questo istinto, questa predisposizione naturale, specie agli inizi, sembra la difficoltà a reperire i mezzi appropriati. Restano tavole, cartoni e tele di immagini del suo paese e dei suoi abitanti riprodotti con mezzi di fortuna. I suoi primi lavori sono disegni su carta e cartone di recupero, tele artigianali spesso dipinte con colori preparati da lui stesso.

I ritratti dei volti, le figure, i paesaggi di Bussi costituiscono i temi giovanili. Un primo fondo di preparazione lo trova nei classici ma poi si accosta affascinato agli abruzzesi, Michetti, Patini, Cascella, che lo riconducono al suo mondo, alla sua gente.

Nel 1950 conosce Contina che sposerà sei anni dopo. Con lei andrà a vivere a Pescara nel 1959 dove rimarrà per tutta la vita.

Incominciano i viaggi che lo portano a un contatto finalmente concreto con l’arte contemporanea.

Viene conquistato dai tagli arditi di Guttuso, dall’impenetrabilità di De Chirico, dall’espressionismo tedesco.

Risalgono a questo periodo le opere più amate da lui stesso che ricorderà frutto di lunga e dolorosa frustrazione, mentre divorato da un incolmabile senso di incompiutezza continuava a distruggere quello che aveva appena dipinto.

Dipinge in casa, dove adatta una stanza a studio, ma molto anche all’aperto. Raggiunge, con la sua tavolozza e cavalletto, luoghi impervi, calanchi scoscesi, gole selvagge, ma anche scogli e marine, trascorrendovi intere giornate, prediligendo le ore più afose del meriggio estivo, assorto nella luce, davanti alla tela. Sono dei primi anni ’60, i paesaggi solcati da pennellate cariche di colore, rappresentazione di una terra aspra e dura come la vita che vi fluisce sopra. E ancora ruvide testimonianze del paesaggio, sono i volti dei contadini segnati dal sole e dalla fatica, le figure delle donne al lavoro, alla raccolta delle olive, alla vendemmia. Sempre in quegli anni dipinge le “cacce primitive”, pannelli di grande drammaticità con uno studio del colore che va sempre più caratterizzandosi come personale mezzo espressivo.

Nel ’66 dipinge “La balera” tela dalla quale non vorrà mai separarsi. Nel ’68 profondamente scosso dal sisma della valle del Belice in Sicilia, fissa le sue emozioni in una grande tela, “Gibellina”, dove riassume in una fotografica desolazione, il dramma dei superstiti. Il percorso artistico di Cerasoli non può essere interpretato senza tener conto dell’incontro con Dino Buzzati, che avviene nel 1964, nella casa-studio di Pescara. La personalità timida e schiva di Buzzati, la disarmante gentilezza, l’apprezzamento discreto sono le chiavi con cui lo scrittore lo conquista. Nel concreto farà molto di più, offrendogli nuovi e importanti contatti con la critica, con i collezionisti, con le gallerie della sua Milano. Nel 1971, proprio a Milano, Cerasoli vedrà il successo di una mostra personale promossa e recensita da Buzzati a pochi mesi dalla sua morte.

Nel 1966 Buzzati presenta una raccolta di litografie, genere che il pittore ha incominciato a esplorare da poco tempo. Qualche anno dopo è Cerasoli a dedicargli una cartella di quattro opere in cui da testimonianza del profondo legame artistico con lo scrittore. Nella prima raccolta, il mondo che esprime è sempre duro, arido, secco, amaro, ma tanta disperazione ha un’eco che non è retorica ma narrazione del dolore. Nella seconda cartella, si apprezza la metamorfosi del linguaggio pittorico che si definirà meglio in seguito: frantumata l’omogeneità della luce, Cerasoli ritorna alla fondamentale, originaria radice del divisionismo, per poi ricomporre il proprio mondo sulla base di una tavolozza ardita, un mosaico coloristico che ben si attaglia alla scarna incisività del disegno.

Negli anni ’70 trasferisce il suo studio in una mansarda, dove ha più spazio per dipingere e per creare. Nel nuovo ambiente comincia a cercare forme diverse d’espressione. Lavora la terracotta in grandi bassorilievi, statue di cavalli, nudi di donna. Poi sperimenta il cemento, i metalli, il legno. Realizza fusioni e incisioni in vari metalli, tra le quali, notevoli restano alcuni bracciali. Ne realizza uno celebrativo degli scultori contemporanei, e uno della Divina Commedia. La pittura muta nell’organizzazione della tela, abbagliata da ampie zone di luce. Le pennellate violente lasciano spazio a tratti più delicati ma sempre incisivi. Il colore resta il protagonista del linguaggio espressivo. Buzzati dopo la scomparsa ha lasciato in lui un vuoto affettivo. Ora compare frequentemente nelle grandi tele narrative, accanto ai protagonisti del suo mondo pittorico, Modigliani, Picasso, Manzù, Guttuso, De Chirico con i quali sembra discorrere amabilmente ma con autorità.

Ricordiamo di quegli anni “La disputa” del 1973 e “Emmaus” del ’78. Se l’incontro con Buzzati rappresenta l’inatteso, il mistero e, con la sua scomparsa dalla scena, il mito, la conoscenza di Cesare Zavattini rappresenterà certamente il realizzarsi di un sogno di gioventù. Artista altrettanto venerato per il suo eclettismo e per la straordinaria sensibilità, Zavattini incontra Cerasoli in una fase particolare della vita artistica di entrambi. Il grande maestro espone i suoi dipinti a Pescara nel ’73 ed è proteso in quegli anni verso la pittura come completamento e sublimazione artistica. Cerasoli invece è ancora in piena ricerca. Ha sperimentato sì con la scultura, con l’incisione, con le fusioni, ma coltiva ancora il sogno del quadro di una vita. Realizza nel 1979/1980 due grandi tele allegoriche per la sala del Consiglio del Palazzo di Provincia a Pescara. Affronta le dimensioni importanti e i temi celebrativi venendone completamente assorbito. Nella prima rende omaggio all’arte della sua provincia mentre nella seconda ne racconta le principali vicende storiche. Anche questa è nuova sperimentazione, sfida espressiva, ma il pittore non cessa di pensare a un quadro di ancor più ardua realizzazione: “La battaglia di Pavia” resterà un fascicolo di schizzi, studi, qualche bozzetto, ma non verrà mai dipinta. Negli anni ’80 nel corso dei frequenti viaggi, arricchisce la collezione delle tele ideate come appunti di viaggio: dalle piazze di Mosca, alle chiese di Leningrado, ai paesaggi greci, ai villaggi egiziani, nuovi quadri si aggiungono alle impressioni già fissate a Londra, a Parigi negli anni precedenti. Nel 1982 dipinge “Museo Cerasoli” una sorta di testamento artistico, in cui la narrazione dell’arte si fa protagonista assoluta della tela. È del 1984 una rivisitazione de “Le bagnanti”, tema del quale esiste una lenta, ma profonda metamorfosi espressiva: dalla violenza dei nudi degli anni ’60, alla presenza metafisica delle donne e dei cavalli degli anni ’70 alla attuale drammatizzazione iperrealista. Nel 1988 si ammala gravemente. Ha una pausa forzata di più di un anno, superata la quale si ritrova ad affrontare la parte più difficile del cammino artistico, quella che porta più vicino al traguardo di una vita di ricerca, alla consapevolezza, alla compiutezza. Torna a dipingere, dapprima in modo nuovo, quasi esplorativo. Poi entra in un linguaggio nuovo, forse ancora non decifrabile. Negli anni tra il 1990 e il 1993 produce tele anche di grandi dimensioni come “Tema”, “Picasso a colori”, “Lithographie da Picasso”. Nel 1994 ancora emozionato da un evento drammatico, la guerra dei Balcani, dipinge “Saraievo” una tavola di grande impatto emotivo. È il quadro con cui prende commiato dalla tavolozza. Pian piano si rassegna, non solo a non dipingere più, ma anche a separarsi da quel mondo, di tele e pennelli ma anche di ricerca, turbamento, fatica. Pochi i momenti in cui si dimostrerà disponibile a parlare d’arte, come se farlo gli provocasse rinnovato dolore. Il 13 febbraio 2011 muore. È sepolto nel cimitero di Bussi sul Tirino.

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Ugo Cerasoli e le sue opere

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